Avventura

Tutta colpa di quella merendina!

Al suono della campanella Federico era sempre il primo a uscire di classe, schivando un banco e poi un altro, per correre finalmente felice fuori. A lui proprio andare a scuola non piaceva e l’unico momento che gli sembrava un pochino più divertente era quando finalmente poteva fare ricreazione con i suoi amici.

A scuola ognuno portava una merenda diversa: chi la frutta, chi i cracker, chi la focaccia. Fede ne aveva una che tutti gli invidiavano: la sua mamma infatti ogni mattina gli preparava un panino enorme, pieno di mortadella.

Una mattina di primavera Federico era in ritardo (non era riuscito a dormire bene quella notte, troppi cartoni, aveva detto la mamma) ed era andato a scuola senza il suo panino enorme. Al suono della campana tutti i suoi compagni tirarono fuori dallo zaino la propria merenda ma Fede era senza. Girandosi vide però una tortina al cioccolato, tutta sola soletta sopra il banco di Andrea che quel giorno era assente.
“Una casualità? Io non credo”- pensò Federico- “non posso lasciarla così, è un vero peccato”.
Senza farsi vedere da nessuno prese la merendina e con l’acquolina in bocca mangiò un bel boccone.
Ora è difficile descrivere quello che gli successe ma farò del mio meglio.

Fede sentì la testa girare veloce, velocissima e poi cascò per terra con il sedere.
“Ma cosa mi è successo? Perché mi trovo in una foresta? Cos’è questo rumore?”
Infatti, in lontananza, si sentiva un ruggito strano, feroce.
“Ma…ma…ma….ma quello è un dinosauro! Un dinosauro vero!”, esclamò il bambino.
Vicino a una quercia un brontosauro stava mangiando le foglie da un enorme cespuglio. Subito si sentì un altro verso.
“Mi sa che mi conviene scappare da qui! C’è un altro dinosauro in arrivo! Io voglio tornare a casa mia! Mamma dove sei?”.
Il ruggito del secondo dinosauro si faceva sempre più forte e Federico, bianco dalla paura, iniziò a correre più veloce di un fulmine. Corse, corse, corse a perdifiato e alla fine, stremato e senza forze, decise di fermarsi dietro una roccia per decidere cosa fare. Provò a dormire un pochino e al suo risveglio, davanti ai suoi occhi, proprio sopra la pietra, vide la stessa tortina al cioccolato, in bella vista.
“Ma non è possibile! E’ sempre lei!”
Fede prese la merendina.
“Ti prego ti prego ti prego, fammi tornare a casa, da oggi farò tutti i compiti e sarò bravissimo a scuola!, pensò mentre tirava giù il boccone.

Anche questa volta solito giramento di testa, veloce, velocissimo e poi TUFF! il sedere per terra.
“Ma…ma… dove sono finito questa volta?”
“Madame e messeri! Venite venite a vedere la giostra! Affrettatevi per prendere i posti migliori”
Federico era in un grande campo, addobbato a festa, circondato da signore e signori vestiti con abiti bizzarri.  
“Almeno qui non ci sono dinosauri feroci!”
Tutto sembrava allegro: cavalieri si fronteggiavano in duelli, bambini giocavano con le spade di legno, le madame camminavano scherzando tra di loro, un venditore ambulante urlava, un giullare giocava con palle e birilli e si stava tenendo un piccolo spettacolo teatrale su un palco di legno.  
“Ecco laggiù, un banchetto, speriamo ci sia la tortina al cioccolato”

Federico aveva ragione, tra frutta, stuzzichini e dolcetti, c’era la solita merendina che ormai conosceva bene.
Un grosso boccone ed ecco, giramento di testa e TUFF! ma questa volta atterò su qualcosa di soffice. Fede riconobbe subito il suo lettino e le pareti della sua stanza.
“Finalmente a casa! Che bello!”
“Federico ma dove sei??????”, urlò la mamma dal piano di sotto.
Il bimbo scese di corsa le scale e abbracciò forte la sua mamma.
“Mamma! Che bella voce che hai, così dolce in confronto a quella del brontosauro”
“Fede, ma cosa stai dicendo?”
“Che sono felice di vederti madama …voglio dire, mamma!”
“Vuoi dirmi dove sei stato?”
“A studiare storia, ci credi?”
“Nemmeno un po’, furbacchione”

La mamma non chiese altro e Federico non disse nulla di più. Quel viaggio era stato emozionante e aveva visto cose assurde ma era bellissimo essere finalmente a casa.

bambino che va in bicicletta
Avventura, Diversità, Natura

La lentezza della lumaca

Rossa, fiammante, velocissima, con un grosso cestino per lo zaino.
Questo era il regalo che Tommy aveva ricevuto dai nonni per il suo compleanno e ogni qualvolta  il tempo lo permetteva, usava la sua nuova bicicletta per andare a scuola.
Tutti lo invidiavano quando arrivava come un scheggia sul suo sellino, gli occhi dei suoi compagni erano puntati su quel gioiello fiammante che luccicava alla luce del sole. Pure Alfredo, quel bambino antipatico di quinta, gli aveva chiesto dove l’avesse comprata.
Tommy era fierissimo della sua nuova bicicletta e non permetteva mai a nessuno di usarla.
“Ho paura che si rompa”, rispondeva sempre ai suoi amici e i suoi amici non glielo chiesero più.

Una mattina fresca di metà ottobre, Tommy si alzò in ritardo come al solito, si vestì di corsa, mise il giacchetto più pesante, baciò la mamma sulla guancia e uscì in giardino per prendere la bicicletta che teneva legata a un palo.
Ma qualcosa era diverso dal solito.
Una spessa striscia argentea imperlava il sellino da parte a parte e al suo termine una grossa lumaca si trascinava stancamente andando chissà dove.
“Ma che cosa strana!”- pensò Tommy- “Una lumaca su una bicicletta. Ma cosa pensa di fare? Le lumache sono lente e silenziose. Sarà meglio farla scendere visto che io vado velocissimo. Il suo posto non è di certo qui sopra. Per colpa sua arriverò tardi in classe e la maestra si arrabbierà moltissimo con me.”
Tommy allora prese delicatamente la lumaca per il guscio, la mise sull’erba e in tutta fretta pedalò verso la scuola.

Quello che Tommy non sapeva è che la lumaca non si era mai spinta al di là del delimitare del prato. Quindi lei ignorava che sul marciapiede davanti casa camminavano in fila le formiche, che sull’albero della vicina ci fosse un nido di api, che un pettirosso in fondo alla strada amava cantare alle 5 di pomeriggio. Le altre lumache erano felici lo stesso, in quel giardino crescevano in abbondanza denti di leone e altre foglie gustosissime, a loro non mancava niente. Ma alla nostra lumaca questa cosa proprio non andava bene. Lei aveva deciso che voleva scoprire il mondo e non si sarebbe arresa così facilmente.

Così la mattina dopo, con molta fatica, si fece trovare in orario sopra il sellino della bicicletta fiammante di Tommy.
“Eh no- pensò lui seccato- questa ci sta facendo l’abitudine.”
La riprese per il guscio, la osservò fissando le sue antennine sopra la testa e le disse “Come faccio a farti capire che se caschi ti fai male? Qui non devi salire!”. E la rimise al suo posto nel prato.
Ma la lumaca, testarda com’era, non avrebbe rinunciato al suo sogno e la mattina seguente, con molta fatica, si fece trovare nuovamente in orario sopra il sellino della bicicletta.
Tommy quando la vide non credette ai suoi occhi. Forse, per lo spavento, avrebbe capito che quello non era di certo un posto dove poteva stare una lumaca. Rifletté un attimo su cosa fare, la spostò sul manubrio e partì a tutta velocità verso la scuola.

Quando Tommy iniziò ad andare così veloce la lumaca per un secondo ebbe paura, poi si attaccò bene al metallo e si fece coraggio. Durante il viaggio si divertì da morire. Non si era mai sentita così libera. Osservò con cura le foglie che iniziavano a cascare, sentì l’odore intenso della resina dei pini, vide volti e case e montagne che non aveva mai visto prima. Tutto era nuovo, sconosciuto e a lei sembrava di essere rinata.
Quanto Tommy legò la bicicletta davanti a scuola si sorprese di vedere la lumaca ancora attaccata al suo posto ma si sorprese ancora di più quando al suo ritorno la notò lì, dove l’aveva lasciata, che lo stava aspettando.

Lungo la strada del ritorno la lumaca si sentì in dovere di sdebitarsi con quel bambino che gli aveva fatto vivere dei momenti così magici. Allora iniziò a raccontargli dei fili d’erba bagnati di rugiada, dei petali morbidi delle margherite e del solletico che il vento le faceva mentre era sopra la bicicletta. Tommy a quel punto rallentò (c’erano davvero tutte quelle cose?) e iniziò a osservare con attenzione quello che la lumaca gli diceva, andando lentamente per non perdersi nemmeno un dettaglio di quel mondo così piccolo ma non per questo meno bello.

Posso dirti, caro lettore, che divennero grandi amici. La mattina presto la lumaca era già pronta sul sellino della bicicletta, elettrizzata per il viaggio che l’aspettava. Tommy andava come una scheggia per non arrivare in ritardo e la sua amica non riusciva a smettere di ridere per il solletico che le faceva il vento. Al ritorno andavano piano, pianissimo, e spesso si fermavano a guardare i nidi dei merli o le antenne di qualche grillo che si domandava sbigottito che cosa ci facessero insieme quei due.

Tommy in bicicletta con la sua lumaca
Mr. Mistero
Avventura, Magia

Mr. Mistero

Poche cose si sanno di Mister Mistero. Primo, è un uomo misterioso. Secondo, adora risolvere enigmi e misteri. Terzo, non si perde mai uno spettacolo di magia.

Forse perché così può imparare qualche trucco che può essergli utile per risolvere i suoi misteriosi misteri o forse perché semplicemente va matto per i giochi d’illusione. Chissà.
Così tutte le volte che vede una locandina di uno spettacolo se lo segna sull’agenda, compra i biglietti e non perde mai un appuntamento. Poi indossa il suo impermeabile grigio, gli occhiali da sole anche se è notte, il suo cappello, prende il giornale di qualche mese prima e si mette zitto zitto nell’ultima fila per non farsi notare.
“Signore e signori, benvenuti al 92° festival Houdini di magia! Io sono il mago Magis, mettetevi comodi e godetevi lo spettacolo”.
Mr. Mistero guardava rapito il mago che riusciva a leggere nella mente, indovinava le carte senza averle viste, faceva scomparire gli oggetti e sollevava delle bottiglie senza toccarle.
Che emozione ogni volta!
Mr. Mistero tutto concentrato cercava di capire i trucchi dietro ai giochi di prestigio ma proprio non ci riusciva.

La serata filò liscia liscia come la notte tra bocche aperte per l’incredulità e applausi entusiasti.
Finito un numero mozzafiato dove un candelabro si trasformava in un coniglio, il mago fece per prendere dal baule quello che gli serviva per l’ultima magia quando improvvisamente divenne tutto rosso in volto e poi bianco e poi di nuovo rosso.
Mr. Mistero capì subito che qualcosa non andava.
Il mago borbottò tra sé e sé qualche parola incomprensibile, si voltò indietro, poi in avanti, poi indietro e poi si avvicinò al pubblico e disse “Signore e signori, mi vedo costretto mio malgrado a sospendere lo spettacolo. Io non trovo…sono scomparse… le mie colombine” e scoppiò in lacrime. Tutte le persone nella sala pensarono che fosse uno scherzo, si guardarono stupite tra di loro ma vedendo Magis con le mani sul volto capirono che di uno scherzo non si trattava.
Passò un tempo che sembrò infinito di totale silenzio e di sconcerto generale.
“Chiamiamo la polizia!”, propose qualcuno ma era abbastanza assurdo chiamare la centrale e dire “scusate, sì.., siamo a teatro e c’è un’emergenza, sono sparite le colombine del mago”.

Mr. Mistero comprese che era il momento di intervenire, si alzò in piedi, salì sul palco, si presentò a tutti e chiese agli addetti della sicurezza di controllare che nessuno uscisse dal teatro. Si avvicinò a Magis per rassicurarlo e gli domandò dove fossero gli animali prima di sparire. “Qui dentro la gabbia ma adesso è a…aperta”, rispose Magis tra un singhiozzo e l’altro.
Mr. Mistero pensò subito che le colombine in fondo non potevano essere andate molto lontane: qualcuno doveva averle rubate.

I primi indiziati ovviamente erano tutti i collaboratori del teatro come sarti e truccatori ma andando dietro le quinte Mr. Mistero gli vide sconvolti almeno quanto il mago.
“Erano mesi che stavamo lavorando a questo spettacolo, doveva essere tutto perfetto” disse la sarta Anna tra una lacrima e l’altra. Per non parlare del tecnico delle luci Omar che fissava il vuoto e sembrava sotto shock. No, non potevano essere loro i responsabili.  

Mr. Mistero allora tornò in sala e si guardò intorno per capire chi tra gli ospiti poteva essere un indiziato. C’era una signora bionda bionda magra magra che stava sbadigliando e non vedeva l’ora di tornare a casa, un signore pelato in seconda fila che si era addormentato, nella fila dietro una ragazza sembrava davvero preoccupata per la sorte degli uccelli, sulla sinistra alcuni bambini vestiti da mago si tiravano le bacchette sulla testa. Nessuno sembrava il ladro di colombe.
Un tipo anziano piuttosto panciuto con la giacca molto larga sembrava agitato e ansioso di andare via ma quanto Mr. Mistero gli chiese di aprire la giacca, non trovò proprio niente, a parte una tavoletta di cioccolata nascosta nella tasca interiore. “Mia moglie non sa che sono qui a vedere lo spettacolo di magia, ed è tardi”, si giustificò imbarazzato.

Ma perché rubare delle colombe? E quando le avrebbero rubate dato che il pubblico è sempre rimasto seduto? Qualcosa non tornava.
Intanto gli ospiti in sala cominciavano a lamentarsi dell’orario, della cattiva gestione dell’emergenza e qualcuno voleva pure il rimborso del biglietto. Mr. Mistero parlò con Magis e decisero di mandare tutti a casa, le colombe erano definitivamente scomparse.

La mattina seguente Mr. Mistero si alzò, indossò il suo impermeabile grigio, gli occhiali da sole, il suo cappello e prese il giornale di qualche mese prima. Si avviò verso il suo bar preferito, si sedette, ordinò un cappuccino e una brioche alla crema e si sistemò il giornale davanti al viso. Aveva quasi finito la sua colazione quando notò qualcosa di molto strano. Nel parco dall’altro lato della strada tre pettirosso avevano il collo insolitamente lungo. Mr. Mistero lasciò i soldi sul tavolino del bar e si avvicinò per guardare meglio: si trattava di colombe ricoperte di trucco che stavano discutendo animatamente tra di loro. Ma doveva aver visto male, per forza. Si tolse gli occhiali e si strusciò forte gli occhi. Provò a guardare meglio ma niente, erano sempre lì.
“Io non ci penso nemmeno a tornare dal mago che ci costringe a stare tutto il giorno in gabbia e ci lascia libere solo per gli spettacoli!”, diceva una.
“Sì, ma abbiamo sempre fatto quel lavoro e mi mancano le facce stupite dei bambini”, rispondeva l’altra.
“Siamo scappate, ci siamo immerse nel trucco di scena per far finta di essere pettirosso, io non torno davvero indietro con tutto quello che abbiamo rischiato per scappare!”, cinguettava la terza.
“Con tutto quello che abbiamo passato”
“Con le giornate chiuse dietro le sbarre”
“Ma quanto era bello far ridere i bambini”
“Sì, chissà come sono tristi senza di noi”
“Già, i bambini”

Mr. Mistero si avvicinò silenziosamente commosso dopo aver sentito quelle parole. Quindi le colombe non erano state rubate da nessuno, avevano architettato un piano per fuggire, sporcarsi il petto con il rossetto e volare via per essere finalmente libere. Cosa fare?
Mr. Mistero non era bravo in queste cose, lui era esperto di enigmi, rompicapo e rebus, ma non poteva rimanere indifferente e serviva una soluzione a questo problema così insolito rispetto a quelli che era abituato a risolvere. Ragionò, riflettè, pensò. Poi d’improvviso ebbe un’idea geniale, si fece coraggio e prese la parola.
“Scusate signore colombe. Forse potrei aiutarvi. Visto che ci tenete a fare gli spettacoli, se il mago vi lasciasse libere il resto del tempo, voi tornereste indietro da lui?”.

Poche cose si sanno di Mister Mistero. Primo, è un uomo misterioso. Secondo, adora risolvere enigmi e misteri. Terzo, non si perde mai uno spettacolo di magia.
Quella sera indossò il suo impermeabile grigio, gli occhiali da sole, il suo cappello, prese il giornale di qualche mese prima e blablabla, insomma, lo sappiamo ormai, i suoi soliti vestiti. Si sedette zitto zitto nell’ultima fila per non farsi notare.La serata filò liscia liscia come la notte fino all’ultimo numero quando tre colombine splendide uscirono come d’incanto dal cilindro del mago Magis. Volavano alte in aria per poi trasformarsi al tocco del mago in fazzoletti bianchi e poi ricomparivano sulle spalle dei bambini della sala che ridevano felici. Finalmente tutti gli spettacoli erano una loro scelta e sapevano di libertà.

mano che sorregge un anello
Amicizia, Avventura

L’anello della felicità

Mano che sorregge l'anello della felicità

Ho sentito dire che tempo fa c’era dietro ad alcune colline una vallata magica, dove in mezzo al prato si poteva trovare un anello che aveva il potere di rendere felici. Genti da tutto il mondo accorrevano in quel luogo ma chi riusciva a tornare indietro raccontava di prove difficili e di mostri terribili che sorvegliavano la vallata.

Un giorno lungo la strada per giungere alle colline si incontrarono due uomini e due donne: Zeno, famoso per la sua intelligenza; Asha, nota per il suo coraggio; Ida, conosciuta per la sua bontà e Igor, profondamente ambizioso. I quattro si misero d’accordo, decidendo di unire le forze per raggiungere l’anello: una volta trovato avrebbero deciso chi meritasse di ottenerlo.

La prima difficoltà non tardò a presentarsi: un ruscello sbarrava la strada e sulla pietra vi era incisa una frase: Mostrami il tuo pensiero, io deciderò se sei degno. Asha subito si lanciò sperando di riuscire ad attraversare il fiumiciattolo a nuoto ma l’acqua la respinse con violenza sulla riva opposta. Anche Igor provò ad afferrare una radice per aiutarsi ad attraversare ma gli scivolò tra le mani e fu sospinto indietro. Zeno iniziò a ragionare e capì: immerse la testa sotto le chiare acque, presto delle rocce spuntarono dal fondo e permisero ai quattro di proseguire salvi il loro cammino.

Ma anche la seconda prova non tardò a presentarsi: dopo un’ora di estenuante camminata un leone si fece avanti ruggendo aggressivo, tutti balzarono indietro impauriti e Ida cadde per terra tremante. Avevano quasi deciso di rinunciare e tornare indietro, quando Asha senza paura si avvicinò alla belva e dolcemente l’accarezzò sul dorso. Il leone era spaventoso ma non feroce, si lasciò toccare e si fece da parte, chinando la folta criniera con rispetto.

Ormai erano giunti ai piedi della collina e iniziarono a salire e salire e salire mentre il giorno andava scomparendo. Quando sembravano arrivati sulla cima improvvisamente tutto iniziò a tremare e la terra sotto i piedi cedette, lasciandoli sospesi: Zeno si teneva alla gamba di Asha che si teneva al piede di Igor che si teneva disperato a una pianta. Solamente Ida era al sicuro su una parte di suolo stabile e Igor le urlò “Vai! Prendi l’anello”, pensando che ormai per loro non ci fosse via di scampo. Ma Ida non gli avrebbe mai lasciati morire, neppure per tutti i tesori del mondo. Raccolse tutte le forze che aveva e piano piano gli aiutò a salire con lei, incitandoli a non mollare la presa. Tutti si salvarono.

Dopo aver riposato a sufficienza ridiscesero la ripida collina e arrivarono finalmente nella vallata magica. Adesso vi era la prova più difficile: decidere chi tra di loro meritava l’anello. C’è chi propose di offrirlo a chi lo avesse trovato per primo in mezzo a quel prato, chi voleva premiare l’astuzia di Zeno, chi voleva che lo prendesse Asha che aveva affrontato una belva e chi invece propose di lasciarlo a Ida che gli aveva salvati dalla morte.

Insomma, non riuscivano proprio a trovare un accordo.

Zeno con intelligenza lo rifiutò a priori, Asha si fece indietro con coraggio e Ida con la sua solita bontà preferì che ne beneficiassero altri. Igor capì che quella era la sua prova e che doveva desistere alla sua abituale ambizione. La tentazione di cercare e afferrare l’oggetto magico era fortissima ma osservando la stanchezza sul volto di quelli che ormai poteva chiamare amici, decise che non ne valeva la pena, nemmeno per la felicità eterna. 

Si guardarono, si sorrisero e contenti di essere vivi si incamminarono indietro, verso casa, lasciando così l’anello a chi ne avesse avuto più bisogno.

I protagonisti nel bosco pronti ad affrontare il loro viaggio alla ricerca dell'anello della felicità
scultore che lavora a una statua
Arte, Avventura

L’uomo che trasformava le persone in statue

C’era una volta Anita.

Anita amava il gelato, amava camminare scalza sul prato, amava scoppiare le bolle di sapone con la punta del naso, amava il Natale ma se c’era una cosa che Anita amava più di tutte era passeggiare con Ettore.

Ettore, il cane di Anita

Ettore non era un amico qualunque: capiva sempre se Anita era triste, se aveva voglia di giocare o se voleva compagnia, ed Ettore era un amico speciale anche per un altro motivo, cioè che aveva quattro zampe e una coda buffissima, arricciata, come quella di un maialino, tutto ricoperto da pelo corto e rosso come il fuoco. Il cane più buffo che si sia mai visto. Ettore amava le carezze, amava dormire sul divano, amava abbaiare ai gatti per sentirsi cattivo ma se c’era una cosa che Ettore amava più di tutte era passeggiare con Anita.

E questo faceva di loro due amici inseparabili.

Anita tutti i giorni prendeva il guinzaglio di Ettore, che si metteva subito seduto con il petto fuori, tutto fiero e felice, lo faceva passare intorno alle zampe e al collo e si incamminava allegra, lungo le strade tranquille del suo paese. La passeggiata seguiva sempre il solito tragitto: lì in fondo alla strada c’era la gelateria, proseguendo a destra c’era un piccolo parco dove Ettore poteva fare amicizia e dove Anita spesso si toglieva le scarpe (ma guai se la mamma lo veniva a sapere), andando avanti c’era il signor Luigi che faceva bolle di sapone grosse quanto palloni da calcio, e alla fine, stanchi e felici, tornavano indietro, lungo lo stesso percorso.

Ma un giorno, mentre stavano tornando a casa, successe qualcosa che Anita non aveva previsto. L’imprevisto aveva la forma di un bel gatto, un enorme gatto bianco dagli occhi gialli. Ettore, che odiava i gatti almeno quanto amava le carezze, iniziò subito ad abbaiare “Allontanati brutto fetente!”, ma il gatto, che odiava i cani almeno quanto amava le carezze, rispose con un soffio acuto. Anita, sconsolata dall’entusiasmo del suo amico, sospirò e decise di cambiare tragitto per quella volta, proseguendo da un’altra parte, e vide una piccolissima strada che non aveva mai notato prima. Guardò il suo amico a quattro zampe, lui guardò lei e si incamminarono fianco a fianco.

La strada inizialmente sembrava una strada proprio come tante altre ma arrivati circa a metà Anita ed Ettore si resero conto che qualcosa non andava, la via sembrata abbandonata: c’era una villa con le persiane chiuse da assi di legno, dall’altra parte c’era una casa ricoperta di edera, poco più in là un edificio aveva le scale crollate, una vecchia scuola era senza tetto e si riusciva a intravedere dai vetri sporchi i banchi messi sempre in fila, con la lavagna appesa al muro. Ma di tutte queste cose strane quella che attirò di più l’attenzione di Anita era una piccola casa, quasi una baracca, nel cui giardino c’erano moltissime teste. Non teste vere, si intende, teste di ceramica, di vetro, di marmo, di legno, tutte disposte in fila, in bella vista sul muro e nel prato.

casa dell'uomo che trasformava le persone in statue

Anita pensò che quelle dovevano essere le teste dei vecchi abitanti di quella assurda strada che sicuramente qualcuno aveva trasformato in statue. Dopo un primo momento di terrore riprese fiato e avrebbe voluto fuggire, urlare e correre veloce verso casa ma non ci riuscì, le gambe si sbloccarono e rimase immobile, come pietrificata e pensò che quello fosse l’inizio di un qualche sortilegio che lentamente la stava trasformando. Cercò di guardare Ettore ma la testa era come bloccata e l’unica cosa che riuscì a dire fu “aiuto”. Quella parola magica doveva aver infranto il sortilegio perché improvvisamente le gambe uscirono dal loro torpore, strinse forse il collare di Ettore e scappò come un fulmine, insieme al suo amico, entrambi a perdifiato, verso casa.

La mattina dopo Anita si svegliò, e inizialmente pensò che quello che era successo il giorno prima non era altro che un brutto sogno. Poi ripensò alle teste di ceramica sul prato, alla paura, alla sensazione di non riuscire a muoversi, alla parola magica e al momento in cui finalmente era arrivata a casa.
Ora, se c’è una cosa che non vi ho detto di Anita è che Anita è la bambina più curiosa che io conosca. E una bambina curiosa come Anita non poteva far finta di niente. E poi tutte quelle persone? Qualcuno avrebbe dovuto salvarle.

Prese il guinzaglio, legò Ettore e uscì nuovamente di casa perché lei doveva capire. Trovò la stradina abbandonata, superò la villa chiusa, la casa con l’edera, il palazzo con le scale rotte e la scuola senza tetto, fece un profondo respiro e si avvicinò alla baracca. Dietro la siepe, seduto su una sedia di legno, vi era un uomo. Lui doveva essere colui che trasformava le persone in statue! Chino su un blocco di terra, con un utensile, dava lentamente forma a dei bellissimi capelli che incorniciavano un volto dolcissimo. Il naso era appena abbozzato, sottile e piccolo, e le labbra carnose erano stese in un eterno sorriso. La bambina rimase incantata dai gesti lenti e dalla maestria con cui quei movimenti toglievano la terra e nasceva la statua di una donna sorridente. Anita strinse il guinzaglio di Ettore e lentamente si incamminò verso casa.
Aveva appena deciso che sarebbe diventata anche lei un’artista. A quelle teste in fondo serviva proprio un corpo.

bambino travestito da dinosauro
Avventura

Un regalo speciale

A Matteo proprio non piaceva andare a nanna, aveva sempre un sacco di cose da fare e andare a dormire non era tra le sue preferite. Gli piaceva in modo particolare sfogliare il bellissimo libro che il nonno gli aveva regalato, pieno di immagini di dinosauri e non riusciva a pensare ad altro.

Quando aprì la letterina di Matteo, Babbo Natale rimase pensieroso, era abituato a ricevere strane richieste, ma anche per lui era impossibile trovare un dinosauro vero! Di certo non poteva lasciare Matteo senza il suo  regalo e dopo averci pensato molto ebbe un’idea. Avrebbe chiesto aiuto alla fata dei sogni! Solo lei avrebbe potuto fare vivere a Matteo le avventure che tanto si era immaginato sfogliando il suo libro.

Così quando avvicinandosi il Natale dovette scrivere la sua letterina, fu facile esprimere un desiderio: avrebbe chiesto a Babbo Natale di portagli un dinosauro, un dinosauro vero naturalmente, con il quale poter giocare nel suo giardino tutto il giorno! Chissà che faccia avrebbero fatto i suoi amici quando l’avrebbero visto!

Così la notte della vigilia di Natale, Matteo si addormentò nel suo lettino in attesa dell’arrivo di Babbo Natale… Chiuse gli occhi e si trovò  aggrappato al collo di un’enorme tirannosauro rex, lì per lì ebbe un pò paura, non era facile rimanere aggrappati al collo del suo nuovo amico, ma ne valeva davvero la pena! Si divertiva da matti a salutare dall’alto tutte le persone che incontrava e che lo guardavano incredule. Scivolare lungo il collo del tirannosauro poi era molto più divertente di come lo aveva immaginato, che meraviglia, avrebbe voluto non finisse mai.

Matteo con il suo regalo speciale, il dinosauro

-Matteo, Matteo, sveglia dormiglione!

La voce della mamma lo svegliò dal suo sogno.
“Che peccato”, pensò il bimbo, “mi stavo divertendo molto…” -Andiamo a vedere se Babbo Natale ha portato i regali!

“Non serve”, pensò tra sé Matteo, “io il mio l’ho già ricevuto!”

E da quella notte fu felice di andare a nanna, perché era certo che avrebbe ritrovato nei suoi sogni ciò che aveva tanto desiderato.

cavaliere che vola su un libro
Avventura, Magia

Le storie prendono vita

C’era una volta Claudia, una mamma che come molte altre aveva sempre mille impegni: corri di qua, corri di là, era sempre occupata da mille faccende. Ma la sera arrivava il suo momento preferito della giornata: sedeva sul bordo del letto del suo bambino per raccontargli una favola e accompagnarlo nel mondo dei sogni mentre lo stringeva forte a sé e non avrebbe voluto neppure tutto l’oro del mondo in cambio di quei minuti preziosi.

Si schiariva la voce e iniziava “ hai mai sentito parlare del mostro che non voleva mostrarsi?” oppure “ ti ho mai raccontato dell’anello magico che regala la felicità eterna?”. Si divertiva da morire a stuzzicare la fantasia del suo Duccio e metteva insieme ragni, orchi, draghi, fate e anche persone normali, per farlo addormentare con il sorriso sulle labbra.

Una sera Duccio, curioso come una volpe, chiese “Ma queste storie sono vere?” e Claudia senza pensarci un attimo gli rispose strizzandogli l’occhio “Non dubitarne mai.”
Dopo aver ascoltato una storia molto buffa su un ragno beneducato, la mamma gli diede un bacio sulla fronte, rimboccò le coperte e andò a letto promettendogli una nuova storia per il giorno dopo.

Durante la notte però il cielo si scatenò con tuoni e lampi, la stanza si illuminava di luce per poi tornare al buio e ogni cosa nella stanza sembrava viva.
Il bambino impaurito si mise sotto le coperte lasciando un piccolo spiraglio per vedere cosa succedeva e si accorse che dal libro di favole, dove qualche volta la mamma prendeva ispirazione, iniziava a uscire un esercito di personaggi in miniatura guidati da un cavaliere su uno splendente destriero bianco.

Gentilmente il cavaliere si rivolse a Duccio e disse “Non preoccuparti, ci siamo qui noi se non riesci a dormire. Goditi lo spettacolo!”.
Allora gli gnomi iniziarono a parlare tra di loro, poi intervennero dei folletti, un principe combatté contro un drago ma la principessa non ne voleva sapere di lui dato che gli puzzava il fiato e un re perse la corona e andava in giro a chiedere se per caso qualcuno l’avesse vista. E ancora i nani non erano nani ma erano giganti che tutti chiamavano “nani” per burlarsi di loro, i tre porcellini giocavano l’uno con la coda dell’altro e in camera c’era un trambusto tale che sembrava un mercato tra chiacchiere, combattimenti, avventure e chi più ne ha più ne metta. Quando gli occhi pizzicavano un pò per la stanchezza, una fata dolcemente volò verso Duccio e con la punta della bacchetta gli toccò il naso. E fu il mattino.

personaggi delle storie che prendono vita

Il sole entrava timido con i suoi raggi e Claudia svegliò Duccio scuotendolo per le spalle. Sembrava esausto ma felice di quella notte movimentata. Il bambino si sentiva ridicolo a raccontare alla mamma quello che era accaduto, chi mai avrebbe creduto che i personaggi delle storie erano usciti da un libro e avevano preso vita? Forse davvero aveva sognato, forse si era immaginato tutto.

Ma lavandosi i denti davanti allo specchio Duccio vide della polvere oro sul naso e capì che di quello che era successo non doveva dubitarne mai.